(di Anna M. Ragno)
In
passato il carbone era uno dei pochi combustibili con cui l'uomo
poteva riscaldarsi e cuocere il cibo. Al
giorno d’oggi, invece, il carbone
vegetale, noto anche come carbonella,
è richiesto per alimentare i barbecue e i forni a legna delle
pizzerie.
La
necessità trasformare la legna in
carbone vegetale
e di reperire questo materiale,
utile ai bisogni primari della vita, ha indotto l'uomo a praticare
il mestiere del carbonaio.
Questa figura, quasi scomparsa ai nostri giorni, era
ben presente
in Foresta Umbra ed
è sopravvissuta fino all’avvento del gas da cucina negli anni
50-60.
Carbonai al lavoro in Foresta Umbra. Foto di Ena Servedio, autrice del libro "Quando correvamo alla luna", Marsico Libri, 2016 |
L’arte del
carbonaio consisteva nel tagliare legna nei boschi, trasportarla in
spiazzi piani e aperti, accatastarla in carbonaie ed innescare il
processo di combustione lenta che portava alla carbonizzazione, ossia
alla trasformazione della legna in carbone.
Il carbonaio conduceva
una vita alquanto difficile, Il suo lavoro, infatti, lo portava ad
assentarsi dal paese per vari mesi, durante i quali egli, sfidando innumerevoli ostacoli e disagi, viveva
nella foresta, al fine di accumulare la legna da cui ottenere
poi il carbone.
Nella macchia, egli prediligeva tagliare alberi come il cerro, la quercia, il carpine, l'ornello e il leccio, in quanto l'esperienza insegnava che da essi si poteva ricavare un prodotto migliore, rispetto a quello fornito da legni come il salice e il pioppo. Queste piante, una volta gettate a terra per mezzo di seghe ed asce, venivano private dei piccoli rami. Dopo questa operazione, effettuata per mezzo di roncole, il carbonaio provvedeva a spezzettare il legname, che veniva poi accatastato.
Nella macchia, egli prediligeva tagliare alberi come il cerro, la quercia, il carpine, l'ornello e il leccio, in quanto l'esperienza insegnava che da essi si poteva ricavare un prodotto migliore, rispetto a quello fornito da legni come il salice e il pioppo. Queste piante, una volta gettate a terra per mezzo di seghe ed asce, venivano private dei piccoli rami. Dopo questa operazione, effettuata per mezzo di roncole, il carbonaio provvedeva a spezzettare il legname, che veniva poi accatastato.
Foto di Ena Servedio. |
Successivamente egli,
avvalendosi di muli, che erano particolarmente adatti a compiere i
percorsi accidentati di montagna, oppure impiegando la "cavalla", un'asse di legno a forca con una tavola orizzontale appoggiata
sulle spalle al convergere dei due rami, che gli permetteva di
spostare circa mezzo quintale di legna, trasportava i tronchi fino
alla cosiddetta "spiazza", uno slargo ricavato nella
radura del bosco per mezzo di pale e di grosse zappe. In
questo spazio, solitamente delimitato con una barriera di frasche e
pali, affinché la ventilazione del luogo fosse il più possibile
adeguata per la cotta della legna, prendeva forma la carbonaia.
Costruire una carbonaia
richiedeva perizia, esperienza e tempo. Dopo aver calcolato, infatti,
quale doveva essere la dimensione di questa struttura conica, il
carbonaio aveva cura di creare al suo interno un camino.
Il camino veniva realizzato a partire dalla base fino all'apice, con dei legni incrociati a quadrato, ed era indispensabile per alimentare la fiamma. Attorno a questo foro, la legna veniva posizionata verticalmente in più strati e poi disposta in tanti cerchi, il cui diametro si riduceva man mano che si saliva verso la sommità. La catasta, così disposta, era ricoperta con terra battuta, polvere di carbone e zolle erbose.
Il camino veniva realizzato a partire dalla base fino all'apice, con dei legni incrociati a quadrato, ed era indispensabile per alimentare la fiamma. Attorno a questo foro, la legna veniva posizionata verticalmente in più strati e poi disposta in tanti cerchi, il cui diametro si riduceva man mano che si saliva verso la sommità. La catasta, così disposta, era ricoperta con terra battuta, polvere di carbone e zolle erbose.
Foto di Ena Servedio, tratta dal suo libro "Quando correvamo alla luna", Marsico Libri, 2016. |
Questo accorgimento serviva a trattenere il fuoco all'interno della carbonaia, la quale solo
allora poteva essere incendiata. Il carbonaio appiccava le fiamme per
mezzo di legni resinosi e tizzoni ardenti, fatti scivolare lungo
l'indotto del camino, il quale, dopo essere stato riempito di legni e
frasche, veniva chiuso con le zolle di terra. Intorno al piede della catasta venivanolasciate delle fessure, che venivano regolate con
cavicchi appuntiti di legno, al fine di non far spegnere il fuoco.
Attraverso questo procedimento la legna bruciava senza fiamme, a
temperature elevate, per alcuni giorni, sempre sotto l'occhio vigile
del carbonaio che, scrutando vari particolari come il fumo, il
trasudamento, il tiraggio, capiva quali accorgimenti adottare per portare a termine il suo lavoro.
Terminata la
combustione, per la quale erano indispensabili circa dieci giorni, i
tizzoni infuocati di carbone venivano fatti raffreddare. Solitamente
cinque quintali di legna fruttavano mediamente cento chili di
carbone.
Il carbone, dopo essere stato raccolto e sistemato in grossi sacchi, veniva caricato sui muli, muniti di basti. Queste erano selle grossolane, che permettevano di adattare i pesanti sacchi sul dorso dei muli. Il carbonaio, era così pronto ad abbandonare il suo rifugio, un capanno di legno, per fare finalmente ritorno al paese.
Il carbone, dopo essere stato raccolto e sistemato in grossi sacchi, veniva caricato sui muli, muniti di basti. Queste erano selle grossolane, che permettevano di adattare i pesanti sacchi sul dorso dei muli. Il carbonaio, era così pronto ad abbandonare il suo rifugio, un capanno di legno, per fare finalmente ritorno al paese.
La capanna dei carbonai, non molto dissimile da quella ancora presente in Foresta Umbra per scopi didattici. Foto di Ena Servedio. |
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